IL SISTEMA DEI PARTITI HA PERSO CLAMOROSAMENTE NEL LAZIO E IN LOMBARDIA. A GIULIANOVA QUESTO PREOCCUPA QUALCUNO?

I risultati elettorali nelle regioni Lazio e Lombardia, qualora ce ne fosse ancora bisogno, hanno dimostrato senza ombra di dubbio quanto ampio sia diventato il fossato che divide questo sistema dei partiti dalla società civile.

Può aiutare qualche cifra. Nel Lazio si afferma Francesco Rocca, candidato del centro-destra con il 53,88%; seguono D’Amato (Pd-Terzo Polo) con il 33,50%; Donatella Bianchi (Movimento 5 stelle) attestatasi al 10,76%; Rosa Rinaldi (Unione Popolare) 0,88%; Sonia Pecorilli (Partito Comunista Italiano) 0,98%.

In Lombardia Attilio Fontana (Centro-destra) si riconferma presidente con il 54,68%; segue Pierfrancesco Majorino (Centro-sinistra) che si attesta sul 33,93%; poi Letizia Moratti (Azione-Italia viva) con il 9,86% dei consensi; Mara Ghidorzi (Unione Popolare) si ferma all’1,53%. Fra le due regioni, in media, vi è stata un’affluenza alle urne del 40% degli aventi diritto. A questo dato bisogna aggiungere l’elevato numero di schede bianche e nulle per un totale medio del 2% (dato solitamente ignorato dall’informazione).

Ne discende una prima considerazione amara: il sistema della rappresentanza, almeno nelle due regioni interessate, è letteralmente deformato. In queste due regioni, in altri termini, non si sono formati parlamenti democratici e rappresentativi, bensì composti da rappresentanti del 37% o poco più degli elettori aventi diritto di voto.

Altra considerazione amara è che i partiti “vincitori” (si fa per dire) rappresentano il 50% del 37% dei voti validi scrutinati, cioè, il 17,5% o poco più dell’intero elettorato regionale. Un’esigua minoranza governerà queste due regioni. Chi può dirsi vincitore? I numeri dicono che vincitori sono i cittadini e le cittadine che non hanno più nessuna fiducia nella politica e in questo sistema dei partiti. Ad esso, cittadine e cittadini negano il mandato politico rappresentativo e il relativo sistema democratico risulta ormai inevitabilmente saltato.

Veniamo a Giulianova.

Nel 2014 l’affluenza alle urne al primo turno fu del 70,38%; al secondo turno del 47,38%. Tolte schede nulle e bianche, possiamo arrotondare, per ragionevole approssimazione, al 68% al primo turno e al 46% al secondo (usando la calcolatrice non cambia gran ché).

Nel 2019 l’affluenza al primo turno fu del 63,47 % e al secondo del 45,72%. Anche qui, l’arrotondamento ragionevole ci porta al 62% del primo turno e al 44% del secondo.

Orbene, facendo la media aritmetica dei due dati del primo turno abbiamo circa il 65% dell’affluenza valida decurtata delle schede bianche e nulle; al secondo turno una media aritmetica del 44% anch’essa al netto delle schede bianche e nulle. Siccome il sindaco è eletto al secondo turno, negli ultimi dieci anni il governo cittadino è stato esercitato da una minoranza. Meglio, le percentuali di maggioranze e minoranze devono essere calcolate su questo 44%, per cui, per capirci, chi dice di aver vinto con il 51% dice una bugia: in realtà ha “vinto” con il 22% del totale degli elettori; chi dice di aver preso il 20% dei voti, anche qui, dice una bugia: in realtà ha preso circa l’10% e via scorrendo lista per lista.

La domanda che mi pongo è la seguente: consapevoli che a questa voragine fra partiti e società civile siamo arrivati grazie alla degenerazione dei partiti maggiori e di governo, come possono le forze sane di questo sistema dei partiti (per fortuna ci sono) rassegnarsi all’idea di essere rappresentativi di una minoranza del corpo elettorale e cantare vittoria per qualche voto in più visto che aumentano sfiducia e rassegnazione? In realtà ci vorrebbe un ripensamento radicale e impietoso dell’essere partiti e forze politiche che chiedono voti ai cittadini. L’ho già suggerito anche con alcuni particolari procedurali, ma quasi nessuno, in proposito, ha dichiarato alcunché, cerco di ripetere sperando che di là del muro ci sia qualcuno. Fervono in questi giorni contatti, trattative e incontri “al vertice” fra forze politiche giuliesi per arrivare a compagini e liste elettorali, candidati sindaci e futuri assessori, programmi di governo, incarichi, e chi più ne ha più ne metta. Da cittadino che ama la Costituzione mi chiedo: che ruolo hanno i cittadini in questa fase preliminare? Nessuno! Tutto è fatto, deciso e concordato fra vertici e capi per portare dopo ai cittadini che devono votare una minestra già cotta (quasi sempre riscaldata). Quasi che il Sovrano (il popolo, art. 1 Cost) debba essere interpellato dopo, quando tutto è pronto; quasi che siano vincenti (non lo sono, mi pare…) le strategie delle “alleanze preordinate” e dei programmi “più belli del mondo” già scritti dai più bravi del mondo.

Quale è l’alternativa? Non voglio ripeterlo un’altra volta qui: rimando ad un appello lanciato dall’Associazione Demos qualche tempo fa che ho cercato di riassumere in un articolo nel mio blog (urly.it/3s9hb, per chi ha pazienza di leggere un po’). Non sono certo che in questo appello vi sia la giusta ricetta per invertire la triste tendenza dei cittadini al non voto, ma certo è l’unica strada che hanno le forze politiche per rimettere al centro il Sovrano e non morire di autoreferenzialità, tenuto conto che alle prossime elezioni quel 44% potrebbe arrivare al 40% come per Lazio e Lombardia o anche meno.